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La domandaCome dovrebbe essere lo spazio espositivo? Congelando gli aspetti tecnici che occorrono nella progettazione del museo, rimane un problema fondamentale e cioè il ruolo che deve avere lo spazio con le opere d'arte. ![]() Il virusQuesto tema anche se antico è particolarmente presente nel dibattito contemporaneo che da più parti individua dei voluminosi rimproveri nei confronti della architettura museale. La critica che viene mossa a queste costruzioni è di essere sempre più, simili a delle opere d'arte, capaci di celebrare unicamente se stesse. La conseguenza è l'oppressione delle opere d'arte contenute nel luogo espositivo perché viene assorbita anziché riflessa la loro forza espressiva. L'architettura museale dunque viene accusata di aver esteso il proprio ruolo, trasformando il neutro spazio espositivo in spazio architettonico. Se non vi è una giustificazione architettonica a questi avvenimenti, c'è sicuramente biologica, infatti in molti progetti è evidente la comune matrice autogenerativa che ha trasformato gli assemblati componenti architettonici in un corpo. Se il museo è diventato un corpo, per similitudine, quello che in passato era il vuoto - cioè lo spazio espositivo - si è trasformato in una viscosa massa liquida e, come il sangue, che appartiene all'organismo nel quale scorre è diventato un tessuto architettonico. Perciò quando proviamo ad "iniettare" all'interno di un corpo_museo il virus opera_d'arte s'instaura un conflitto repulsivo, dove quest'ultimo è inevitabilmente destinato a perdere. Lo spazio è il sangue di una architettura e quindi gli appartiene. ![]() Collisioni inesistentiOltrepassando queste scherzose metafore "organiche" e precisando che stiamo considerando soltanto i musei del XX secolo destinati ad ospitare opere coetanee -proprio per questo- non credo che oggi abbia molto senso parlare di "giusto luogo" dove installare un opera d'arte. Il problema posto all'inizio è matematicamente assurdo. Per arrivare a questa affermazione possiamo considerare che siamo in un mondo dove la società, la cultura, e anche la fisicità vanno sempre più spesso omogeneizzandosi. L'eterogeneo tende all'Uno parmenideo. Perciò se la cultura è sempre più omogenea, il modello museo che ne è sua diretta conseguenza - e metaforicamente sta a questa come il corpo sta all'individuo del quale ne segue e subisce tutte le vicissitudini - non possiede realmente quella eterogeneità concettuale che oggi ci permette di distinguere in maniera così evidente un Daniel Libeskind da un Peter Zumthor. Le differenze tra soggetti contemporanei, verranno sempre più corrose dal tempo, e ci rimarranno soltanto i noccioli delle loro idee portanti, ormai diventate atomi della storia. E anche quest'ultime una volta analizzate forse scopriremo essere cosi simili tra loro da identificarne una sola.
Se un'idea unica costruisce tutta l'architettura di un periodo storico, allo stesso tempo sarà sempre lei il propulsore ideativo delle altre discipline creative. Ciò che mi porta a affermare tali considerazioni è soltanto la storia, che ad esempio, ci ha resi coscienti come nel barocco il fulcro estetico presente nelle architetture di Borromini fosse il solito che maturava lo spazio pittorico degli affreschi di Pietro da Cortona. L'idea generatrice è unica perché è il risultato dell'immersine dell'uomo nella società, e se quest'uomo è un architetto la divulgherà tramite l'architettura, se un artista tramite l'arte, se un musicista tramite la musica, ma tutte queste discipline saranno i diversi risultati della stessa matrice. Un'altra ipotesiIpotizziamo che opera d'arte e spazio non possano essere confrontati tra loro perché quest'ultimo è diventato invisibile. Per arrivare a tale affermazione dobbiamo considerare che in ogni epoca vi sono stati alcuni sensi dominanti e nella nostra i conduttori del gioco sono la vista e l'udito, cioè quelle attività percettive che colgono l'aspetto rarefatto e logico della materia a differenza del tatto che ne individua le valenze immediate e organiche. Anche se uno dei sensi principali risulta essere la vista la nostra cultura è solo apparentemente iconica, perché in realtà trova la propria essenza nello "scorrere". Questo non vuol dire nutrirsi dei dimensionali soggetti animati che appaiono insipidi alla nostra mente, ma più profondamente del concetto "astratto" e adimensionale che li conduce, cioè il loro "funzionamento". Un film non è la somma statica dei suoi fotogrammi, ma il fluire di questi. Un sasso che cade non è più un sasso. L'uomo contemporaneo non si nutre più degli aspetti sensibili appartenenti ai soggetti ma delle loro forze applicate nel tempo.
I primi autori capaci di identificare questi avvenimenti sono stati probabilmente i web designer che hanno sintetizzando al massimo i soggetti delle loro interfacce per trasformarli in icone animate e interattive, idonee ad essere lette più dal senso logico che dalla sensorialità organica. Il modelloOgni volta che nasce una nuova corrente architettonica la critica si "logora" per scavare nel passato e individuarne le radici compositive. Nel caso dell'architettura funzionante questa ricerca non porterebbe a niente perché il modello di riferimento non è collocato nel passato ma in quella struttura attualissima che è l'ipertesto. Nelle pagine dei siti internet è possibile accedere tramite delle icone o parole sottolineate - i cosiddetti link - ad altre web zone che a loro volta rimandano ad altre interfacce, così facendo potremmo "saltare" da un sito a l'altro all'infinito. Questo tipo di struttura trasforma ogni schermata in un significato esponenziale in potenza, la cui forma non è dimensionale e spaziale come comunemente siamo abituati ad astrarre ma semplicemente il complementare di quell'"uno" che è la rete. La rete pur essendo un immenso contenitore di icone non può essere assimilata ad uno spazio tridimensionale perché vorrebbe dire simbolizzarla, e perciò privarla di alcuni significati fondamentali. Non possiamo pensare all'infinito immaginandoci un lungo corridoio. L'essenza delle rete è in concetti come vuoto, saltare, movimento, contemporaneamente, cioè significati che muovono i simboli ma non lo sono.
L'identico sapore concettuale della rete appartiene a l'architettura funzionante, infatti la grande quantità di periferiche infiltrate negli edifici moderni sono il mezzo che ci permette di oltrepassare la fisicità del luogo e saltare altrove. Se questo è vero concettualmente riferendosi ai programmi televisivi, alle interfacce dei monitor e cosi via, è ancora più vero fisicamente, basti pensare alle infinite diramazioni di cavi, che simili a radici alloggiano nelle viscere del pianeta per connettere tra lori gli alberi artificiali chiamati palazzi.
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