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Il Paesaggio al di là del Soggetto e dell'Oggetto |
autore: Michele Manzini [email:
supermicky01@ciaoweb.it] pubblicato il : 20-6-2002 |
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L'architettura rivolge la propria attenzione a questo nuovo senso del paesaggio che si impone come il vero protagonista dell'esperienza spaziale. |
La possibilità di guardare e ammirare un paesaggio si ha in virtù di uno spazio che si frappone tra lui e la natura e che è il frutto di una lacerazione rispetto al sentimento unitario della natura universale. Una lacerazione che coinciderà con il tramonto del mito e con il sorgere del mondo moderno caratterizzato dal senso dell'individualità. Il paesaggio si produce e si origina nel momento stesso in cui le cose, gli oggetti, le forme acquistano un profilo, vengono cioè individualizzate. Perché vi sia paesaggio interiore ed esteriore è necessario che io colga, estragga o astragga da questo tessuto omogeneo alcuni elementi e li consideri privilegiati rispetto ad altri. Il che significa che questi elementi vengono individualizzati così come viene individualizzato l'io osservante.
Nell'antichità e nel Medioevo non era presente il senso del paesaggio perché ancora non era avvenuto quel fenomeno di sradicamento, di dissoluzione dei legami originari che liberano l'uomo e lo definiscono come "individuo". Ma se la visione moderna del mondo nasce sulla distanza e il senso del paesaggio ne è il suo frutto più evidente lentamente sarà proprio quell'idea di separazione tra "io" e il "mondo" ad entrare in crisi. La folla sarà uno dei grandi protagonisti della lirica metropolitana di Baudelaire forse il poeta che prima di altri avverte la crisi della distanza e che porra' l'eleganza del dandy come ultimo baluardo all'eccesso di stimoli della vita moderna.
Successivamente Ortega y Gasset negli anni trenta scriverà i suoi testi un po' apocalittici, un po' profetici sul fenomeno del pieno, dell'agglomerato, della densità.
In un ambito denso, in uno spazio saturo, tutto colpisce, tutto invade, tutto è prossimo. Ricavare un anfratto in cui sia possibile la visione a distanza diviene sempre più difficile. Ciò che stava entrando in crisi era quella visione antropocentrica del mondo che definiva il soggetto come supremo attore della conoscenza.
Gli empiristi immaginavano il sapere come unicamente modellato dall'esperienza. Pensavano che il mondo esterno inscrivesse le sue regolarità sulla tabula rasa della mente.Contro l'empirismo, Kant aveva accordato un posto preponderante alle strutture trascendentali del soggetto conoscente. Secondo il filosofo, l'esperienza stessa è organizzata dalle categorie del soggetto. Per qualificare la rivoluzione che egli pensava di aver compiuto nella filosofia, Kant la paragonava alla rivoluzione copernicana: era ormai intorno al soggetto che girava il problema della conoscenza.
Ridefinire oggi i limiti del tema del paesaggio significa accettare la crisi della distanza rivedendo la distribuzione dei ruoli tra soggetti ed oggetti.
La psicologia contemporanea e la neurobiologia hanno certamente confermato che il sistema cognitivo umano non è una tabula rasa. La sua struttura e i suoi differenti moduli specializzati organizzano in modo stringente le nostre percezioni, la nostra memoria e il nostro ragionamento. Ma noi articoliamo agli apparati specializzati del nostro sistema nervoso esperienze, dispositivi di rappresentazione e di trattamento dell'informazione esterni.
Fin dalla nascita, il piccolo uomo pensante si costituisce per mezzo di lingue, macchine, di sistemi di rappresentazione e di oggetti che strutturano profondamente la sua esperienza. Ma l'intelligenza e la cognizione sono anche l'effetto di un collettivo più ampio, sono l'effetto di reti complesse in cui interagiscono un gran numero di attori umani, biologici, tecnici e oggettuali. Non sono "io"che sono intelligente, ma "io" con il gruppo umano di cui sono membro, con la mia lingua, con i miei oggetti e la loro storia, con tutta un'eredità di metodi e di tecnologie intellettuali. In Statues, Michel Serres, mostra come, con la mummia, il cadavere e le ossa l'oggetto nasca dal soggetto, e come, inversamente il soggetto collettivo si fondi sulle cose e si mescoli con esse. Annunciando un rinnovamento della filosofia della natura, Prigogine e Stengers hanno cercato di mostrare che non esiste una separazione assoluta tra universo fisico inerte, sottoposto a leggi e il mondo eterogeneo del vivente. Le nozioni di singolarità, evento, interpretazione e storia sono al centro degli ultimi sviluppi delle scienze fisiche. La scienza classica escludeva la storia e il significato dall'universo fisico per attribuirlo unicamente al vivente, ovvero al soggetto umano.
Infine Bruno Latour e la nuova scuola di antropologia delle scienze precisa come l'essere conoscente è una rete complessa in cui i nodi biologici sono ridefiniti e allacciati da nodi tecnici, semiotici, istituzionali e culturali. La distinzione netta tra un mondo inerte e soggetti è così abolita. Il pensare è un divenire collettivo in cui si mescolano uomini e cose e dove gli artefatti giocano la loro parte nei collettivi pensanti.
Dalla matita all'aereoporto, dalle ideografie alla televisione, dai computers agli agglomerati urbani il sistema instabile di cose è parte integrante dei sistemi cognitivi dei gruppi. L'architettura rivolge la propria attenzione a questo nuovo senso del paesaggio che si impone come il vero protagonista dell'esperienza spaziale. Viaggiare, attraversare, percorrere, perdersi: l'esperienza contemporanea dello spazio si configura come un modello che dissolve il soggetto il quale indifferentemente può aggiungersi al contesto oppure ritrarsi da esso. Non è più l'uomo che vede e percepisce il paesaggio perché egli stesso ne fa parte .
L'esperienza architettonica diviene così, una deriva, un trascinamento incontrollato che attraverso il continuo mutare del quadro percettivo cambia continuamente ciò che si vede: essa è senza cornice, o meglio ha una cornice che si allarga da tutti i lati. È incompiuta, ma non frammentaria, perché al contrario consente di sperimentare la continuità dello spazio, la mescolanza e l'intersecazione di tutte le cose tra loro, la porosità e la tattilità del reale. Definisce le superfici e i contorni come se appartenessero ad un corpo dove tutto è consecutivo e privo di vuoti.
Sono così sovvertite e messe da parte tutte le concezioni dello spazio, che mettono l'accento sull'abitare, sul dimorare, sul risiedere e che pensano l'architettura con riferimento all'esperienza dell'interno in rapporto più o meno dialettico con l'esterno. Si impone così con prepotenza un modo di percepire lo spazio che sprofonda nel ridicolo e nel patetico tutte le buone intenzioni riguardo ad un'organizzazione architettonica dello spazio che armonizzi forma e funzione, natura e cultura, campagna e città che hanno inperversato fino agli anni settanta. Ciò che oggi si rende necessario è la possibilità di far compiere alla vecchia nozione di paesaggio una leggera torsione che l'allontani dal suo fondo regressivo ed idealistico e che l'avvicini maggiormente la soggetto e alla sua corporeità. La prima condizione di tale passaggio è la liberazione dal suo aspetto ideologico: fintanto che il paesaggio è considerato soltanto come portatore di un significato storico, politico, culturale o psicologico noi percepiremo lo spazio nella sua identità, come prodotto dotato di una sua unità logica. L'introduzione della rottura della sua compiutezza oggettuale pone il paesaggio in una posizione tale da non essere più un oggetto interamente determinato dal soggetto e tale da non essere minimamente scalfito dalla sua fruizione; anzi, percorrere uno spazio significa metere in moto processi di generazione senza fine di nuovi paesaggi. Il paesaggio diventa così una trama, una sorta di labirinto che non copre e non nasconde nessun significato possibile ma al quale nulla sfugge.
Il presente testo è parte integrante del catalogo della mostra "IL PAESAGGIO E IL SUO MITO" che si è tenuta a Villa Vecelli Cavriani, Mozzecane, Verona dal 1 Giugno al 15 Luglio 2002.
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